Quando il sogno diventa…video
Ci sono persone che sono capaci di raccontare per filo e per segno un sogno fatto anche il giorno precedente e altre che, al contrario, pensano addirittura di non aver sognato mai nulla … ci avete mai pensato?
Ecco, mi presento, sono Clara e faccio parte della prima categoria e credo di essere davvero fortunata per questo. Nel corso della vita mi è capitato spesso di poter raccontare nel dettaglio attimi di conversazioni e sentire le stesse sensazioni che stavo provando nel momento dell’esperienza.
Non ho mai studiato l’interpretazione dei sogni, sebbene questo argomento mi abbia sempre affascinato, ma a volte mi è capitato di rifletterci su e dare una mia personale interpretazione a ciò che mi accadeva durante la notte.
Probabilmente il mio professore universitario di sociologia della cultura in questo momento sarebbe contrariato nel leggere quello che sto per scrivere; lui sosteneva che anche solo raccontare un sogno fatto equivalesse a “stuprarlo”. Non sono d’accordo, ogni sogno è personale e ogni notte è magica per dormire insieme alla propria immaginazione, per questo sto per raccontarvi uno di quei sogni che porto sempre con me, che hanno in qualche modo indirizzato la mia vita, almeno a livello professionale.
Ero una bambina, frequentavo le scuole medie, anche se non ricordo la mia età esatta, ricordo invece con accuratezza che quel sogno fu così significativo da interrompere il mio sonno per il resto della notte. Questo sogno ha preteso che mi alzassi e andassi subito a trascriverlo nero su bianco: Fatto, questo, mai più accaduto e che determina la sua significatività.
Se leggerete fino alla fine questo articolo, capirete il motivo per il quale vi sto raccontando questo sogno e cosa rappresenta per il mio lavoro di videomaker.
Scena 1: spiaggia – esterno giorno
Eravamo noi quattro: io, mamma, papà e mia sorella maggiore, Agnese.
Quella che sembrava a tutti gli effetti una comune giornata in spiaggia trascorsa con la famiglia, si trasformò in qualcosa da farmi perdere il fiato.
Eravamo tutti nei pressi della battigia, i miei genitori si rilassavano sotto il sole e guardavano noi bambine giocare con la sabbia bagnata. Ad un certo punto Agnese mi esortò ad andare a giocare in mare, e così feci. Lei amava stare in acqua, soprattutto nuotare in quella alta. Per me non era così, non mi è mai piaciuta l’acqua, anche ora preferisco darmi una rinfrescata e tornare a “rosolarmi” al sole piuttosto che restare per ore nell’acqua alta a “squamarmi”. In quell’occasione però volevo giocare con mia sorella, ero serena, spensierata, mi fidavo di lei ed ero certa che non mi sarebbe potuto accadere niente anche se mi fossi allontanata un po’, c’erano i miei genitori che mi stavano guardando, era tutto ok.
Se in un primo momento giocavamo con le onde, in un secondo le superammo e nuotammo fino a non percepirle più così tanto. Galleggiavo, anche se bastava una piccola spinta verso il basso per sentire ancora la sabbia sotto i piedi. Iniziammo a schizzarci, ridevamo, quando ad un certo punto, una di noi, non ricordo chi prima, si voltò verso la riva, portando di riflesso a voltare anche l’altra.
In quel momento raggelai, il battito del cuore accelerò.
Davanti a me c’era solo mare e acqua alta, la riva era sparita e con lei anche i miei genitori.
Scena 2: mare – esterno giorno
Io e Agnese iniziammo a nuotare verso quella che doveva essere la direzione della riva, ma niente, c’era solo una infinita distesa di acqua, nient’altro. Il cielo, da soleggiato e sereno come il nostro umore, divenne in un secondo grigio, uggioso, scuro e il mare si faceva più mosso e faticoso. Provavo a scendere sott’acqua, per toccare il fondale, ma niente, più andavo giù più il niente, l’acqua era troppo alta, ma come era possibile? Non ricordo se in quel momento sentissi freddo ma tremavo, sicuramente stavo tremando.
Nel panico iniziai a cercare con mia sorella una barca, una boa, qualsiasi cosa potesse farci almeno riposare le braccia e le gambe e farci riprendere fiato.
È curioso perché in tutto questo, io non so come si sentisse Agnese, non lo ricordo ora e non so se lo ricordai appena sveglia.
Dopo quello che a me parve un tempo infinito vedemmo qualcosa in lontananza, erano scogli! Iniziammo a nuotare, io prevalentemente a dorso, cercando di controllare la respirazione, ero stremata. Raggiungemmo questi scogli in mezzo al mare, salimmo e ci fermammo a placare il respiro e battito. Nella direzione della spiaggia ancora non vedevamo niente, ma dall’altra parte, subito al di là degli scogli, era comparsa una città galleggiante.
Scena 3: città galleggiante – esterno giorno
Era una grande piattaforma composta da stretti corridoi galleggianti che collegavano vere e proprie casette, le classiche casette che si disegnano per la prima volta, quelle con il tetto spiovente, le tegole e le finestre con le tendine e i fiori nel balconcino. Alcune più alte e strette, alcune più quadrate, ognuna con un colore diverso: rossa, viola, celeste, gialla, lilla… era un paesino colorato galleggiate.
In quel momento, non so spiegare bene perché, ma mi rasserenai, così come il cielo sopra di noi, udii il suono di alcuni gabbiani e alzando gli occhi notai un arcobaleno che era comparso come ad incorniciare quella città magica. Non mi sentivo a casa ma sentivo di poter tirare un sospiro di sollievo. Ero incredula, stupita, incuriosita da quella stranezza mai vista che avevamo trovato, dovevo andare a vedere, volevo vedere cosa c’era dentro quelle dimore e conoscerne gli abitanti.
Io e Agnese ci guardammo, sorridemmo e riguardammo avanti, appena mi decisi a fare il primo passo e a dirigermi verso la scoperta, aprii gli occhi e mi ritrovai nel mio letto.
Da bambina disegnavo case colorate.
Da grande racconto le storie al loro interno.
Questa breve ma intensa storia vissuta durante la notte, come vi avevo accennato in precedenza, è stata un segnale molto forte verso quello che poi è diventato il mio lavoro e la mia passione più grande. Ma vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo con la professione di videomaker?
Nel tempo ho pensato molte volte al sogno premonitore, mi sono chiesta cosa volesse farmi capire, per quale motivo mi sono svegliata solo dopo aver trovato la città galleggiante e perché non mi è stato permesso continuare a visitarla. Ho cercato di soffermarmi su ogni piccolo dettaglio e nel proseguo della mia vita sono arrivata alla conclusione.
Questo sogno esprime al massimo il mio personale modo di sentire e di vedere le cose. Oggi lo reputo il simbolo del mio approccio alla vita e di conseguenza entra di prepotenza anche nel mio mondo lavorativo. Il giorno in cui mi sono trovata a dover decidere cosa avrei voluto fare da adulta, solo in quel momento, è tornato alla mia memoria e ha assunto un senso molto chiaro per me.
Riflettiamoci insieme: nel sogno mi vedo bambina, sono nella mia confort zone, coccolata dai genitori. Spensierata e serena perché sapevo che nulla di male sarebbe potuto accadere, c’era la mia famiglia a pensare a me e a tutti i problemi che mi sarebbero caduti addosso. Nel mentre, nella vita reale, iniziavo a rendermi conto che stavo crescendo e volevo iniziare a prendermi le mie responsabilità. Volevo camminare sulle mie gambe, capire chi desideravo essere e quale strada scegliere, affrontando in modo divertito e coraggioso, tutte le difficoltà del fato.
In quel momento mi sentivo persa, confusa, come nel sogno, tremavo; ma poi piano piano nuotando a dorso, nel corso dei miei studi, attraverso le mie scelte, le esperienze fatte e le persone incontrate, prendendo fiato, superai gli scogli e capii la mia strada. Era la grande boa galleggiante, quella vista da piccina, che mi riportava alla medesima stimolante sensazione di serenità, pace e curiosità. Mi tuffai e nuotai a stile libero con una forza che non avevo mai sentito di avere prima, raggiungendo la mia meta.
Arrivati a questo punto credo che anche voi volete sapere cosa avevo trovato in questa isola piena di case in mezzo al mare!
Un luogo insolito e magico, un mondo pieno di idee, di possibilità e di verità particolari, così differenti e strane da dover essere catturate e narrate con uno strumento e un linguaggio articolato e unico, come per me è la cinepresa.
Ogni casa colorata conteneva un set che paragono sempre ad un aspetto della vita che vale la pana raccontare. Le finestre erano “green screen”, la cucina una grande sala di montaggio con un progetto aperto e una fitta timeline di Premiere. Ecco perché ero così curiosa, così felice. Lo spirito dei sogni voleva farmi capire che amavo lavorare nell’universo dell’audiovisivo e comunicare con il mondo utilizzando lo storytelling digitale.
Ancora oggi divido ogni nuovo progetto creativo in una schiera di case colorate, dentro le quali si può trovare più di quel che si ha e che si può immaginare. Ogni cliente e collaboratore è una persona che può insegnarmi più di quanto conoscessi prima. Ogni difficoltà che sia nel lavoro o in qualunque fase del progetto, rappresentano solo qualche centimetro in più da nuotare contro corrente per raggiungere l’orizzonte.
Mission, vision e value purpose del buon videomaker
Il mio compito e la mia ambizione sono quelli di riuscire a descrivere il processo che trasforma un sogno in realtà.
Il mio obiettivo è mostrare qualcosa in cui la gente può immedesimarsi ma, in modo del tutto personale e identitario.
Ogni situazione è diversa e complessa perché può racchiudere significati che non sempre le sole parole riescono ad esprimere. Il mio modo di fare video invece, rilegge il nostro bisogno di raccontare, utilizzando variegati linguaggi che possono avvicendarsi nel racconto o sovrapporsi fruttuosamente, rafforzando il contenuto e rendendolo significativo.
L’utilizzo di più linguaggi stimola contemporaneamente i 5 sensi, permettendo una lettura personalizzata del racconto, capace di stimolare più note. “Per vivere a pieno l’esperienza non basta guardare, è necessario sentire l’odore della salsedine, il vento sulla pelle e il garrito dei gabbiani”.
Un video ben pensato e ben costruito ha l’enorme potere di arrivare all’essenza e di mostrarla mettendola a nudo, trascinando con sé anche l’osservatore che, inconsapevole, diventa parte integrante del racconto. Quando proviamo esperienze significative ne veniamo in parte condizionati, ci influenzano l’abituale modo di pensare. Questa influenza ci cambia e, quando autentica e significativa, ci avvicina alla nostra meta.
A mio avviso l’obiettivo finale del videomaker è far breccia nelle emozioni delle persone, realizzando un video talmente d’impatto che rimanga ben impresso nei ricordi degli spettatori, tanto da condizionarlo e farlo riflettere, proprio come è successo a me con il sogno premonitore.
La mia missione è dunque rendere ogni narrazione significativa e pregnante, nel messaggio che veicola e nel posto che occuperà per lo spettatore, affinché possa sentirsi realmente arricchito e per strappargli un ricordo felice.
Il video è per tutti
Lo scopo di questo scritto, caro lettore, è quello di far comprendere quanto sia efficace un video, quanto sia fondamentale nel mondo della comunicazione multimediale e quanto questo sia inclusivo. In che senso?
Il video è per tutti: ogni cliente, ogni azienda, ogni attività e ogni situazione può essere raccontata e “promossa” con un prodotto audiovisivo.
Anche la fabbrica di bulloni può risultare accattivante e trasmettere emozioni positive a chi lo guarda. Con il video un macchinario elettronico può acquistare un’anima e assumere il ruolo del protagonista in uno spettacolo ambientato nel tendone che è l’azienda.
Lo scopo è quello di formare una fila di gente, pronta a comprare il biglietto al botteghino per godersi lo spettacolo.
Da un ristorante ad una fonderia, il videomaker cerca il modo di rappresentarla nella sua particolarità, facendo risaltare le caratteristiche fondamentali ma, allo stesso tempo, trasmettere l’anima e l’identità a chi non la conosce.