Public Speaking: quello che NON dovresti mai fare (ed io invece ho fatto)
Volume, impatto e frenesia: public speaking e ascolto.
Nel 1999 ho registrato il mio primo album: Miniera. Un punk primordiale con tre note in totale ed un mix di suoni grezzi che creava un frastuono tremendo. Di sicuro non scorderò mai il primo ascolto dopo le registrazioni: per la prima volta riuscivo a sentire la mia stessa voce dall’esterno.
Da quel momento il mio approccio nei confronti di qualsiasi interlocutore è stato costantemente messo in discussione. Ventidue anni dopo, esattamente ora, il mio modo di relazionarmi con un pubblico di riferimento è lontano anni luce dalla spregiudicatezza di quella registrazione. Ecco a voi, per il nostro blog, uno spaccato personale sul parlare in pubblico, strettamente correlato alla capacità di ascoltare.
Parlare a chi non vedi vs parlare a chi è con te
Nel corso della mia esperienza professionale ho dovuto imparare ad adattarmi a diversi format in relazione al tipo di discussione che avrei dovuto sostenere.
Col tempo ho notato che per parlare in pubblico, ad esempio durante una conferenza o anche ddurante un concerto il modo in cui ci si espone è molto simile: si è soli a condurre l’intrattenimento, si parla in diretta e non si può tornare indietro.
Occorre arrivare dritti al punto, suscitare emozione, diffondere il concetto, ma nessuno di questi passaggi è possibile senza riuscire a catturare l’attenzione del pubblico.
Ulteriore deterrente è il fatto che per arrivare ciò si dispone di un limitato lasso di tempo, è necessario dunque un impatto imminente. Di certo ci sarà una parte riservata a commenti e domande, addirittura applausi (o fischi, perché no), ma questo servirà solo a prendersi una brevissima pausa.
Ricordo ancora la presentazione del primo volo charter nella storia tra Bulgaria e Sardegna, organizzato proprio dal mio reparto incoming: dopo una sveglia alle tre, 2 voli e un trasferimento in auto sono arrivato alla location dell’evento già in abito, giusto venti minuti prima dell’inizio della conferenza che avrei dovuto tenere. Al mio arrivo mi hanno presentato una ragazza bulgara, introducendola come la mia traduttrice.
Cambio dell’ultima ora mai comunicato (la conferenza e le slides sarebbero dovute essere in inglese), pertanto appena quindici minuti prima dell’inizio mi è stato chiesto di parlare in italiano ed aspettare la relativa traduzione.
Per fortuna non mi sono mai preparato niente di scritto, anzi, col tempo ho notato che le “scalette” mi impostavano troppo e se arrivavo ad essere veramente sicuro di quello che dovevo dire non potevo sbagliare: ragionando a macro argomenti è tutto più semplice se si è davvero preparati. Poi è stato il turno di parlare in radio e tutte queste certezze mi sono crollate in un minuto.
“Resistere al brutto” e imparare a riascoltarsi
“Resistere al brutto”: questo è il cuorioso payoff che nel 2007 abbiamo scelto per la neonata Radio Pereira, emittente web di cui sono socio.
Ci serviva un collante tra chi fossimo e chi non saremmo dovuti diventare ed abbiamo dunque scelto una frase per spronarci ad avere un non-obiettivo. Così nel tempo abbiamo selezionato artisti sconosciuti nel pieno della loro essenza, nello sbocciare della loro personalità.
Su questa base è iniziata una programmazione musicale ed un palinsesto il quale, da coordinatore della redazione, ho imparato a gestire nel tempo in tutti i suoi pregi e difetti.
Le scadenze da rispettare sono lo stress principale della nostra quotidianità, il palinsesto è rigorosamente da decidere a inizio anno.
Esattamente come faccio ora con le attività digitali dei miei clienti. Non è facile far rispettare queste scadenze se pensiamo che ognuno dovrebbe esprimere ciò che ha in mente nel momento in cui è concentrato, e non scrivere per forza perché sta finendo il tempo.
Il rischio maggiore rappresenta la perdita di qualità. Poi è arrivato il momento di comunicare oralmente tutte quelle cose che prima avevamo solo scritto.
Abbiamo iniziato ad avere programmi con cadenze settimanali, indicativamente nella fascia compresa tra le 18:00 e le 22:00, nei quali proprio noi sedici rubrichisti parlavamo di ciò che più ci piaceva: la musica. Ciascuno di noi con il suo genere preferito.
Per la prima volta mi sono trovato a registrare discussioni che io facevo senza un interlocutore, se non una serie di ipotetiche persone immaginarie (e non definite) a rappresentare chi poi avrebbe ascoltato la trasmissione.
Questo approccio è totalmente differente da quello che si ha in un evento in diretta: non ci sono domande, non ci sono reazioni, non esiste la possibilità di tornare su un concetto. Allora entra in gioco un’attività che non è mai stata contemplata precedentemente: il riascolto metodico ed accurato delle nostre parole.
Public speaking e podcasting: la trasmissione della capsula
Talvolta quando traduciamo termini stranieri nella nostra lingua il risultato è orribile. Certo, mai tremendo come quando “Frankenstein Jr.” nei cinema spagnoli dell’epoca diventò “Frankenstein El Jovencito” (il giovanotto, ndr) ma il bivio da prendere è il medesimo.
In questo caso la traduzione non ci aiuta molto a capire l’argomento in questione: podcasting, di fatto, significa proprio trasmettere una capsula.
Già dall’inizio del terzo millennio i podcast hanno iniziato ad inserirsi tra la frenesia dell’ascolto in diretta e la tranquillità del riascolto al momento opportuno.
Siamo al terzo capitolo del racconto: abbiamo superato un pubblico presente, la trasmissione solitaria in diretta radiofonica e ci troviamo ora al riascolto.
Per uno come me, che preferisce il contatto e la presenza, i podcast rappresentano l’apice della complessità. A differenza della diretta, i podcast possono anche essere ascoltati più volte ed in passato mi è capitato di ascoltare il medesimo perfino tre o quattro volte: avrei cambiato tutto dall’inizio alla fine, ad ogni ascolto captavo un errore diverso.
Si capovolge perfettamente la regola iniziale ed ora non basta semplicemente avere padronanza dell’argomento, al contrario, si necessita talvolta di uno scritto da utilizzare come riferimento.
Volume, impatto e frenesia saranno da oggi in poi i nostri nemici numero uno.