T-Rex e Umarell: una storia (molto) social
Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione.
Era il 1975 e la voce fuori campo del Perozzi – interpretato da un giovane Philippe Noiret, doppiato nell’occasione da Renzo Montagnani – faceva da sfondo a una delle scene migliori dell’indimenticabile Amici Miei.
Ma questa non è la storia della trilogia di Amici Miei. É una storia che ha molto a che fare con la gestione dei canali social.
Simbiosi: il cantiere aperto di un team di creativi
Noi di Simbiosi siamo un gruppo di creativi. E abbiamo avuto, recentemente, la classica botta di fortuna con la C maiuscola.
Quella di avere una sede nuovissima in un complesso che è, letteralmente, un cantiere aperto.
Infatti, quella che doveva essere una multisala cinematografica diventerà presto un Discount. E il cinema mai nato è stato abbattuto poche settimane fa, in un tripudio di ruspe e macchinari che avevamo sempre sognato di vedere in azione da vicino.
La polvere come unico tributo da pagare. La potenza e la forza bruta delle macchine da demolizione a farci diventare gli occhi lucidi, più ai maschietti che alle femminucce, in realtà.
Uno spettacolo da godersi; chi dalla sala riunioni, chi – i più fortunati, tra noi – direttamente dalla finestra proprio ufficio.
Ph. (a tradimento) Nicola Battistoni
L’Umarell esiste. E lotta dentro di noi per uscire, fin dalla più tenera età
Sin dai primi giorni, vicino al cantiere, si nota un affollarsi di bambini (quelli che lo sono anagraficamente e quelli che, invece, bambini lo son dentro) che, a cavallo delle loro bici si affollano – in realtà si avvicinano alla spicciolata – per vedere questo spettacolo meraviglioso, invidiando l’operatore alla macchina per il lavoro che sta compiendo.
Il ruspista, nel contempo, invidia gli spettatori, perché vorrebbe essere al posto loro. A far nulla.
Ph. Luigi Cambrini
Ed eccoli lì i nostri piccoli eroi a lucidarsi gli occhi, nella posa plastica che ogni osservatore da cantiere acquisisce sin da piccolo.
A quell’età il sentimento è solo ammirazione, solo con l’età maturerà lo spirito critico che porterà a commentare e soprattutto a far notare agli altri, con evidenti scuotimenti della testa, gli evidenti errori tecnici commessi.
Questa lunga (e prolisso) premessa solo per arrivare a dire che questo è il substrato sul quale, il genio si tende a svilupparsi ed esprimersi.
Perché l’adulto medio, in quel bestione, ci vede solo una ruspa. Perché è innegabile che quella sia una ruspa.
Però ci sono adulti che riescono ancora a vedere le cose con gli occhi del bambino che sono stati (e che, forse sono ancora) e, se fanno parte di un team creativo continuano a vederci … un dinosauro.
Più precisamente un T-Rex.
Quel particolare tipo di adulto scatterà una foto, cogliendo un attimo e una luce unica. E, orgoglioso di ciò, la posterà sui propri profili social. E lo farà condensando il tutto in un testo incredibilmente complesso…
Ph. Luigi Cambrini
“T-REX”
Sapientemente arricchito dallo stato d’animo “spaventato”.
Compiuta l’opera, resterà in attesa della montagna di commenti (ben 10) e like (ben 57) che ne celebreranno il genio.
Attenzione! C’è sempre un Umarell pronto a controllarti
Potremmo già saltare alle conclusioni ma… c’è un secondo episodio che merita di essere raccontato.
Qualche tempo fa, in ufficio qualcuno ha avuto la bellissima idea di comprarsi una riproduzione 3D, in scala e di un bel colore rosso, del classico umarell in posa plastica: spalle leggermente ricurve, viso spostato in avanti, mani giunte dietro la schiena e ginocchia leggermente piegate a bilanciare il peso (o a denotare un principio di artrosi, vallo a sapere).
E la bella statuina faceva bella mostra di sé ben prima del cantiere in questione.
Senonché qualcun altro, uno che da bambino voleva fare l’ingegnere e si è ritrovato copywriter e stratega digitale, un bel giorno, visto il solito assembramento (stavolta di AN– ZIA- NI) a monitorare i lavori ha un’intuizione.
E dall’intuizione all’azione e dall’azione al post passano giusto quei 35-40”.
Ph. Nicola Battistoni
Il copy, un capolavoro (a detta di lui stesso medesimo).
Definitiva (emoj: faccina con occhi a cuoricino).
Fine.
Come sarebbe a dire fine. E i social?
Qualcuno, potrebbe giustamente far notare all’Autore, che questa è stata venduta come una storia molto social ovverosia in un qualcosa che dice molto su come poter (o dover) gestire la comunicazione social di un’azienda e potrebbe porre la domanda di cui sopra.
La domanda è semplice e legittima. La risposta deve essere opportunamente articolata in quattro pillole (o “perle di saggezza” fate voi, il senso è quello.
Andiamo a svilupparle.
Pillola numero uno: la scelta dell’immagine
In un’attività social strutturata la scelta delle immagini rappresenta una delle attività più importanti e, spesso, problematiche.
Perché?
Perché per poter scegliere è necessario avere a disposizione un archivio di foto tra le quale selezionare le migliori.
Ma migliori per che cosa?
Per il testo che completerà il post. Nella realizzazione di un contenuto social si parte proprio dall’immagine e sarà l’immagine a dirci cosa scrivere (più difficilmente avviene il contrario).
Perché è vero che si può scrivere un testo prima e trovare una foto poi, ma il risultato non sarà mai (o quasi mai) della stessa qualità.
Questa è una delle regole principali che si seguono quando si scrive per i social ed è un consiglio che diamo sempre a chi si approccia al problema. Cliente, collega o amico che sia.
E se si vuol seguire un piano editoriale i contenuti vanno (in una certa misura) pensati e realizzati prima e programmati poi.
Questo serve, a tutti agenzia e azienda cliente, per lavorare con quel minimo di anticipo che consente di gestire le contingenze (o i periodi di scarsa creatività, o i periodi in cui saremo concentrati su altro… tipo a preparare le spedizioni per i numerosi ordini che le nostre attività online stanno generando).
In altri termini: se abbiamo deciso di seguire un piano, ci servono “molti” materiali di base e senza di quelli… andiamo incontro alla pura improvvisazione e, sinceramente parlando, meglio evitarlo.
E quindi prevediamo una campagna di shooting o più campagne di shooting periodiche, per avere materiali sempre nuovi, curati professionalmente e freschi. E questo, oggettivamente, va fatto.
Ma, ogni tanto, anche una foto rubata con lo smartphone “in quel momento lì” può essere utile e vediamo come.
Pillola numero due: il piano editoriale è meraviglioso, ma ci sono attimi che vanno colti
In qualsiasi attività umana, ancor prima che social, ci sono momenti da cogliere, cosa da fare in quel momento e non in un altro perché… perché sì.
O, meglio, perché quella cosa, detta in quel momento particolare non avrà lo stesso impatto (anche e soprattutto dal punto di vista emotivo), rispetto a un post di un piano strutturato e programmato.
Insomma, se il piano editoriale è lo schema (e in linea di principio deve essere seguito) ci sono momenti in cui gli schemi vanno rotti. Questo serve a (di)mostrare al cliente e al lettore che non siamo piatti e monotoni ma abbiamo anche qualcosa di bello e, perché no?, anche simpatico da dire, ogni tanto.
La nostra meravigliosa comunicazione, esteticamente impeccabile, può essere (ogni tanto) sporcata da un qualcosa di inusuale che esca dalla media del piano: con un’immagine presa al volo, un testo con un tono di voce e/o una lunghezza diversa.
Pillola numero tre: l’ironia è un’arma a doppio taglio. O forse no
Ma allora, qualcuno potrebbe chiedersi, anche se siamo un’azienda seria possiamo utilizzare contenuti leggeri e usare contenuti e immagini ironiche?
Dal mio personalissimo punto di vista, assolutamente si.
Ma, poi, entra in gioco il professionista che dice dipende. E dipende è la risposta unica alle domande dell’imprenditore che ti sta di fronte quando vuoi sviare il problema.
Fortunatamente per chi legge (e mi ha seguito fin qui, eroicamente direi), io non sono quel tipo di professionista (e Simbiosi non è quel tipo di agenzia).
Tuttavia, l’assolutamente sì va messo in relazione con ciò che si vuole ottenere con ciò che si comunica.
Mi spiego meglio: l’ironia (o, peggio ancora, il sarcasmo) è un’arma a doppio taglio e il suo utilizzo comporta dei rischi.
In generale scrivere e condividere un contenuto, comporta dei rischi.
Perché tra ciò che si scrive secondo la nostra linea di pensiero e ciò che viene percepito e interpretato da chi legge (secondo la propria linea di pensiero) potrebbe esistere una profonda differenza.
In altri termini ciò che a noi sembra simpatico, potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno. Si potrebbe, tra le tante, citare la risposta – tutto sommato lineare – di Piero Barilla alla domanda sulla famiglia tradizionale e ciò che ne seguì in termini di polemiche e prese di posizione della comunità LGBT (caso di qualche anno fa).
Perché ciò che a noi sembra lineare e logico potrebbe non esserlo per chi legge.
E quindi? Smettiamo di scrivere e postare?
Certo che no. La risposta è nella quarta e ultima pillola
Pillola numero quattro: ciò che comunichi, seleziona il tuo pubblico
In definitiva, sui profili social della nostra azienda e, in generale, nella comunicazione della stessa, noi possiamo utilizzare tutti i contenuti che vogliamo, utilizzando tutti i tipi di linguaggio che desideriamo.
Ma c’è un ma: dobbiamo essere consapevoli dei vantaggi e dei rischi che questo comporta e dobbiamo essere pronti a gestire le situazioni, anche critiche, che la nostra comunicazione può generare.
In questa consapevolezza c’è anche un grande vantaggio: ed è che utilizzare un certo tipo di linguaggio, anche ironico (sistematicamente o eccezionalmente), ci aiuta a selezionare il pubblico, arrivando dritto al cuore delle persone che ci interessano.
Quelle che condividono i nostri valori e, anche (e mi verrebbe da dire soprattutto) in virtù di questa condivisione sono e saranno disposti ad acquistare i nostri servizi.
Anche usando l’ironia e il sarcasmo? Si, se lo facciamo bene e abbiamo una strategia precisa (e senza stare a scomodare più di tanto la comunicazione di Taffo o Ceres…).
Anche usando riferimenti culturali o di costume che non tutti non sono in grado di cogliere? La riposta è sempre quella. Sì, se lo facciamo bene e abbiamo una strategia precisa.
Un esempio a mio avviso significativo è la foto seguente. Il cantiere a fornire l’ispirazione, un (bravo) grafico a creare l’ambientazione e il riferimento a una (più o meno nota) serie TV o, meglio, di una nota piattaforma di streaming (Netflix) e il gioco è fatto.
I fan della serie coglieranno immediatamente i riferimenti e coglieranno al volo il messaggio. Tutti gli altri no. Ed era esattamente quello che desideravamo con questo messaggio. Ed è esattamente quello che bisogna fare quando si pubblica un contenuto: avere bene in testa il destinatario di tale messaggio (target), ipotizzare il momento in cui deve leggerlo e deve compiere una determinata azione.
In altri termini: ciò che pubblichiamo filtra il pubblico che vogliamo intercettare e coinvolgere, distinguendoci dagli altri, in particolare dai nostri concorrenti.
Perché, in fondo – e qui siamo alla pura provocazione, meglio specificarlo – chiunque è in grado di offrire prodotti e servizi a un livello di qualità e/o di prezzo paragonabile al tuo (mi rivolgo a te, passando a un confidenziale tu, caro imprenditore che stai leggendo), ma nessuno è in grado di metterli sul mercato con quei valori, del tutto umani (e quindi unici) che solo la tua azienda è in grado offrire.
Perché se tu sei davvero così (serio sul lavoro, ma leggero quando serve e ogni tanto una risata te la fai), allora la tua comunicazione deve essere così: perché io, potenziale cliente, leggendo ciò che scrivi mi farò un’idea di te e della tua azienda e sarò (credimi, è vero) disposto a comprare i tuoi prodotti anche a un centesimo in più, rispetto ai tuoi concorrenti.
Il motivo? Semplice.
Se la pensiamo allo stesso modo e mi hai fatto (sor)ridere un paio di volte…
…mi immagino già quanto sarà bello lavorare con te.
Anche se avremo qualche problema sui prodotti e servizi (ma tanto, chi non li ha?), tu mi ispiri fiducia e simpatia, sono certo che li risolverai.
E questo tipo di comunicazione non è difficile da realizzare, tanto online quanto offline: devi solo raccontare la verità sulla tua azienda.
Alla fine, il gioco, è tutto qui.
L’ultima cosa e poi ci salutiamo. Davvero.
Lo so, per arrivare a queste quattro “perle di saggezza”, frutto di esperienze vissute sul campo, maturate su centinaia di progetti, hai dovuto leggere tanto, troppo, compresa una lunga e tediosa introduzione, ma era il giusto (?) prezzo da pagare.
E non sono stato neanche tanto originale nel farlo. Lo fece anche Umberto Eco, con “Il Nome della Rosa”. Inserì una prima parte pesante e noiosa. Tanto.
Ma c’era un premio per i lettori più tenaci: uno dei romanzi più belli mai scritti.
Chi scrive, da ragazzo, iniziò quel libro una decina di volte, arrendendosi quasi sempre tra la pagina 60 e la pagina 70.
Poi, più per tigna che per altro, perseverò. Le ultime 300 pagine le lesse praticamente tutte in un fiato; salvo poi rileggerlo, meglio anni a venire, un numero di volte imprecisato, scoprendo a ogni rilettura, nuovi passaggi e sfumature.
Ma questa è un’altra storia… che probabilmente racconterò nel prossimo articolo.
E grazie ancora, per essere arrivato fin qui.
😊